Insieme verso il vero Made in Italy

Ho scritto per anni del valore del Made in Italy convinto di essere nel giusto. Poi sono arrivati i dubbi e mi sono chiesto se perseguire questa strada avesse avuto ancora un senso o se fosse stato più opportuno sostituirlo con qualcosa d’altro.  Sono andato alla ricerca dei valori che potessero fare la differenza e li ho trovati. Ma non solo nelle calzature italiane.

Continuo ancora a credere nel vero Made in Italy. E se ho dei dubbi è perché trovo che il comportamento di molti dimostra di non aver capito il potenziale che abbiamo a disposizione.

Quante calzature italiane, pur rispettando le leggi che regolano la materia, sono totalmente lavorate in Italia? E se anche lo fossero, hanno veramente un maggior valore di quelle fabbricate in altri Paesi? Perché questo è il punto. Quale differenza reale c’è tra le calzature Made in Italy e tutte le altre? Non vi è una grande differenza, se le altre sono progettate e realizzate tenendo conto dei requisiti che il mercato richiede e delle aspettative dei consumatori.

Ma quali requisiti? Innanzitutto vi sono i requisiti di sicurezza chimica. E poi quelli prestazionali. Le calzature oggi sono immesse sul mercato globale da operatori della distribuzione che, per rispondere alle esigenze di leggi e direttive dei diversi Paesi in cui operano, hanno adottato dei capitolati tecnici in cui sono indicati tutti i requisiti che una calzatura deve avere.

Come si fa allora a pensare di produrre materiali, componenti, accessori e calzature finite ritenendo di essere a posto perché in regola con la legge, piuttosto che con i capitolati dei clienti? Quale legge? Come si fa a pensare che basti impilare dichiarazioni dei propri fornitori che genericamente sottoscrivono di essere in regola con il Reach o, come a volte succede, con le leggi europee? Una cosa sono i regolamenti REACH, CPSIA, CADS, …, e una cosa le esigenze di chi acquista le calzature e chiede che siano conformi al proprio capitolato. Ma la sicurezza chimica da sola non basta. Come si fa a produrre calzature che non superano i test di adesione tra suola e tomaia, di attaccatura del tacco, di resistenza alle flessioni e all’abrasione della suola? O di resistenza allo scivolamento di suole e soprattacchi, pensando di essere a posto perché siamo Made in Italy?

Non è quindi un problema di leggi, infrazioni o multe. è un problema di credibilità e di reputazione.

Tutto questo lo hanno capito in molti, e non solo italiani. Per questo, dobbiamo far leva sulla voglia di italianità che c’è ancora nel mondo e recuperare le posizioni offrendo al mercato le calzature che si aspetta. E il mercato si aspetta che il Made in Italy sia sinonimo di italianità, innovazione, stile e moda, ma anche di funzionalità, confort e rispetto dei requisiti di sicurezza chimica e prestazionale richiesti nei diversi paesi.

Non è così difficile. In molti sono sulla buona strada. Tutti gli altri possono solo ripensarci. Alla fine sempre scarpe sono ma se sono italiane devono essere migliori delle altre.

Questo è quello che penso e Voi che cosa ne pensate?

editoriale di Daniele Del Grande (Tecnica Calzaturiera, giugno 2016)

Insieme verso il vero Made in Italy - Ultima modifica: 2016-06-02T10:51:59+02:00 da Daniele Del Grande

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