Felipe Fiallo: l’arte di trasformare il tutto

Uno dei designer emergenti, a cavallo tra l’America Latina e l’Europa, è Felipe Fiallo, artista incredibile, che unisce tradizione, high tech, artigianato e rispetto per l’ambiente offrendo prodotti di alta innovazione. Abbiamo parlato con lui delle sue scarpe, della sua preparazione e che cosa ha in serbo per il futuro.

Quali sono gli elementi artistici e culturali a cui fai riferimento nel tuo design?

Per me è sempre stata la natura la base di tutto. Venendo dal paese più megadiverso del pianeta (l’Ecuador), la natura è sempre stata il riferimento di stile, di estetica e di bellezza. Ma anche di armonia e proporzione.
Per quanto riguarda l’aspetto culturale, venendo dal Sud America, fin da bambino sono stato spesso in contatto con le culture indigene, i cui villaggi si trovavano a breve distanza dalla mia casa. Nel piccolo paese in cui vivevo, si possono ancora oggi vedere i resti delle comunità ancestrali indigene. Sono sempre stato affascinato dai loro vestiti, dai colori incredibili e dal contrasto fra i materiali diversi utilizzati. Da sempre questo è stato la base della mia ricchezza creativa.
A livello artistico, penso invece di essere una persona a cui piaccia moltissimo l’aspetto funzionale di un prodotto. La mia progettazione nasce da una trattativa fra la tecnicità e lo stile, in cui la funzione e la fisionomia stilistica di un prodotto si sposano con un tema organico, come quello della natura.

L’elemento delle culture indigene è un aspetto veramente interessante da usare nel design. Dal punto di vista della fabbricazione di vestiti e tessuti, ci sono delle tecniche in particolare che lei ha desunto da queste culture indigene sudamericane e che sembra abbiano influenzato la sua arte?

Direi che il mio design parta dalla cosiddetta “hybrid technology”. Ho sempre cercato di creare qualcosa di nuovo tramite la biologia, la “digital fabrication” e il lusso. Sono questi i punti di riferimento per le mie idee. L’artigianalità è quello che secondo me fa la differenza in un prodotto. Avendo lavorato con più di 1200 artigiani in Sud America, in Messico, Colombia, Brasile ed Ecuador, certamente ho incontrato tantissime tecniche e tecnologie che sono tipiche dell’area.
Per la mia prima collezione, quella che ho presentato all’Alta Roma nel 2019, ho unito l’artigianalità con la “digital fabrication”. Per esempio, lo stivale che ho creato per questa collezione era fatto di 450 pezzi di pelle e la fabbricazione è avvenuta prima tramite una scansione di un animale che successivamente – con il supporto degli artigiani indigeni ecuadoriani – è stato ricreato a mano con la pelle. Il risultato finale è stato qualcosa di simile alla pelle di un pitone. In questo volevo riproporre quel tocco di artigianalità che è tipicamente ecuadoriana. Gli artigiani mostrano sia forza che precisione nel loro mestiere, dato che da un lato le pelli vengono tirate e da un altro vengono agganciate l’una all’altra senza la presenza di filo. Quindi, la precisione artigianale sembra contrastare con la forza bruta manuale, che è assimilabile a quella usata per lavorare la terra.

Nella sua opera esiste però anche una dimensione di riferimento che si protende verso il futuro, affondando le proprie radici in un passato che non può essere ignorato…

Certamente. Essendo un “conceptual designer”, non mi fermo allo stile classico, moderno o contemporaneo. Il concetto su cui mi baso è l’idea che per andare avanti, dobbiamo guardare indietro. Cioè, dobbiamo capire quello che pensavano i nostri antenati e farlo nostro. Proprio da questo è nato lo slogan: “Felipe Fiallo: Work the Future”. Per me il futuro è quello che i nostri antenati hanno vissuto e quello che ci hanno lasciato e questo è strettamente collegato alla visione cosmica indigena. Per esempio, molte delle loro sculture presentano un occhio chiuso e uno aperto: quello chiuso permette l’introspezione, quello aperto permette di vedere il futuro.
Quando penso al futuro, la mia immaginazione si concentra sui problemi. Quando penso ai problemi, cerco di sviluppare una soluzione e da lì parte una narrativa.

È molto interessante quello che lei sostiene sul fare un passo indietro per andare avanti nel futuro. Considerando il cambiamento climatico, una cosa di cui si parla molto è il fatto che lo stile di vita delle persone nel passato fosse molto più rispettoso dell’ambiente in confronto a quanto non succeda ora. C’è una risonanza di tutto ciò nelle sue creazioni?

Certo! Penso che la visione cosmica indigena sia importantissima per quanto riguarda questo aspetto. Nello stesso modo in cui i nostri antenati si fidavano del passato per proseguire nel futuro, noi dovremmo fare lo stesso nella rivisitazione di tecnologie del passato per la salvaguardia dell’ambiente.
Direi che a livello di inquinamento e cambio climatico, tutto il lavoro che si sta facendo per la “sostenibilità” è falso. È falso perché, come esseri umani, non siamo più sostenibili di natura. Siamo arrivati a un punto in cui l’ego non ci permette di pensare agli altri ma solo a noi stessi. Purtroppo questa visione ha portato tante falsità nel settore della moda. Da un giorno all’altro tutti sono diventati sostenibili, ma – nonostante questo – il “greenwashing” persiste. Ed è un peccato che siamo arrivati a questo punto, soprattutto che abbiamo solo fino al 2040 per ridurre il nostro impatto ambientale.
Felipe Fiallo, come marchio, è nato per creare un cambiamento. Quello che propongo non è la sostenibilità. Io parlo del “regenerative design”: visto che non siamo sostenibili, quello che dobbiamo fare è tentare di rigenerare il pianeta. Come progetto di rigenerazione del pianeta, noi proponiamo due modelli di scarpe, uno dei quali, ad esempio, si chiama “Crystal Walk”, ed è formato totalmente di cristalli naturali che crescono direttamente dal tomaio.

Ci parli di queste tecnologie, che hanno qualcosa di fortemente rivoluzionario.

Alla base di tutto c’è il “rigenerative design”, che funziona in una maniera simile a come opera la natura. La cristallizzazione delle scarpe di cui parlavo prima è infatti una diretta imitazione dei processi di cristallizzazione che avvengono in natura.
C’è un altro prodotto che abbiamo proposto; si tratta di una scarpa fatta interamente di alghe. Si tratta di una calzatura con data di scadenza: una scarpa con la scadenza di un anno, che si secca dopo l’uso e che si può gettare in mare diventando cibo per pesci. Questo modello è un esempio perfetto di “regenerative design”, perché quando finisce il suo ciclo di vita ne parte un altro.
Un altro materiale che abbiamo usato sono i funghi. Nel 2018, abbiamo introdotto un modello utilizzando funghi al posto della pelle. Nonostante non siano comparabili alla qualità della pelle, la loro consistenza è comunque molto simile.
All’interno del nostro brand abbiamo tre linee: Bio Future (dove si trovano le scarpe fatte di cristalli, alghe e funghi), Craft Future (dove si trova l’upcycling e tecniche di zero waste) e il Digital Future (3D printing).
La stampa 3D è un’ulteriore tecnologia molto innovativa, che permette di ottenere tessuti di grande flessibilità, un po’ come quello delle molle. In questo caso l’artigianalità si sovrappone alla tecnologia digitale. Infatti i modelli presentati nella linea Digital Future hanno il tomaio fatto a mano in Italia, mentre la suola è stampata con la stampante 3D.

Quali sono le sue intenzioni per il futuro del suo marchio?

Il primo progetto è quello di portare tutto alla realtà. Abbiamo già lanciato il nostro marchio sei mesi fa, quindi il nostro primo passo è quello di arrivare a una prima, reale produzione. La nostra sfida più grande è quella di costruire una comunità di consumatori responsabili, che possano investire sul futuro e che queste scarpe trasmettano forza e rispetto per il prossimo. In questa strada è importante avere una visione: la nostra è quella di rigenerare la terra con uno stile che pensi alle nuove generazioni, che ci permetta di attuare quello che chiamo “Work the Future”. Il nostro obiettivo è quello di far crescere il marchio in Asia, in Europa e in America, anche se non vorremmo limitarci solamente a questi continenti.
Al momento abbiamo una piccola comunità di 11 mila follower su Instagram e la soddisfazione più grande è stata quella di sentire di essere arrivati, come marchio, al tempo giusto, quando le persone stavano cercando opzioni più rispettose nei confronti del pianeta. Per fare un esempio, settembre scorso a Milano, in occasione del MICAM (MICAM Milano Digital Show), è stato bellissimo vedere così tante persone venire da noi ad esprimere il loro interesse per il nostro marchio.

Visto che lei ha studiato in Italia, quanto il suo design è stato influenzato dalla moda e dall’arte italiana?

Io direi, al 100%. Nei quattro anni in cui sono stato in Italia sono riuscito a collegare quello che sono come product designer a una narrativa globale. Quello che ci permette l’arte italiana è di capire l’arte che sta dietro all’oggetto. Infatti, penso che il mio approccio al design fosse molto più tecnico prima, mentre adesso capisco molto di più del linguaggio artistico della moda. Mi sono trasferito dall’industrial e dal product design al fashion design, perché la moda è cultura. La moda è ciò che ci permette di trasformare il pianeta, perché trasforma lei stessa la nostra cultura.

Felipe Fiallo: l’arte di trasformare il tutto - Ultima modifica: 2023-01-31T09:10:45+01:00 da Carlotta Busetto

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