E se il futuro fosse tutto nel “reshoring”?

SAGRIPANTI_DAMICOA fronte delle preoccupazioni per un 2014 iniziato in maniera non proprio brillante rispetto alle aspettative, c’è un fenomeno, in continua crescita, che dimostra fiducia nei segnali che si stanno manifestando sul mercato mondiale e che fanno pensare a un’inversione di tendenza. È la riallocazione della produzione, individuata da alcune aziende italiane ma non solo, specie del settore moda. Riportare la produzione in Italia per essere più competitivi: è questo il messaggio lanciato provocatoriamente durante l’assemblea annuale di Assocalzaturifici che si è tenuta a Milano lo scorso giugno.

«La produzione agile, – spiega Cleto Sagripanti, presidente di Assocalzaturifici – che sembra imporsi sul mercato oggi, sembra fatta su misura per le nostra filiera, i nostri distretti e il nostro modo di fare impresa».

Segnali altalenanti dal mercato

La situazione congiunturale del settore, così come è stata presentata attraverso i dati dell’Ufficio Studi di Assocalzaturifici, mostra una situazione altalenante e duale sotto molti aspetti.

Il 2013 si è chiuso con una sostanziale tenuta del comparto sui livelli dell’anno precedente, ma solo grazie alle esportazioni. I consumi interni hanno registrato infatti una flessione che, per intensità, non trova riscontri analoghi nella serie storica dell’ultimo ventennio. In totale sono stati esportati 219,8 milioni di paia (+2,6%) per un valore di circa 8,1 miliardi di euro (ennesimo record, +5,7%). I consumi interni per contro hanno registrato cali consistenti, sia in volume (-4,7%), sia in valore (-4,3%) e, in particolare, i soli consumi delle famiglie italiane hanno registrato cali del 6% e del 5,8% rispettivamente. Grazie al volano dell’export, la produzione nazionale – pari a 202,1 milioni di paia (+1,8%), per 7,5 miliardi di euro (+4,9%) – ha chiuso con un lieve incremento pur non recuperando i livelli del 2008.

Per il 2014 la situazione del primo bimestre sembra meno brillante: il mercato domestico è totalmente fermo, e le esportazioni non riescono da sole a compensare il continuo prosciugamento dei consumi interni. I dati più significativi, in chiave negativa, sono l’arretramento dell’area russa che scende del 17,4% e i consumi interni (-3,7 in valore, -2,4% in quantità); in positivo invece altri mercati chiave come gli Usa (+15,6% in volume, + 18% in valore), il Medio Oriente (+21% in quantità, +12% in valore) e il Far East (+11,8% in valore, con Cina +7,9%, Hong Kong +17,8%, Giappone +6,2%). Il trend della produzione è tornato quindi in negativo, almeno in relazione ai volumi prodotti: il campione di associati monitorato dall’Ufficio Studi indica una riduzione media nel primo trimestre 2014 dello 0,3% in volume. Combinando tale risultato con le dinamiche di prezzo segnalate dalle aziende, è possibile stimare un incremento della produzione in valore attorno all’1,5%. L’import ha invece registrato un aumento in volume del 6% su gennaio febbraio 2013, restando stabile in valore (+03%). Il saldo commerciale del primo bimestre 2014 è risultato in attivo per 786,3 milioni di euro, con una crescita del 6% sul corrispondente periodo 2013.

I presupposti per cambiare rotta

«Nonostante una situazione da cui continuamente emergono la competitività delle nostre imprese e la fragilità del nostro sistema Paese – prosegue il presidente Sagripanti – ci sono segnali che danno chiare indicazioni di un’inversione di tendenza nel panorama mondiale del nostro settore. La crescita del mercato interno cinese è ormai interpretata da molti economisti come un punto di svolta. La Cina sarà sempre di più un mercato su cui andare a vendere e sempre meno solo la fabbrica del mondo, ciò non solo per ragioni di prezzo (il differenziale di competitività tra Cina e resto del mondo occidentale infatti si sta gradualmente assottigliando), ma anche perché il mercato mondiale richiede un tipo di filiera produttiva diversa dal passato».

I dati dicono che la produzione cinese di calzature tra il 2010 e il 2012 è cresciuta del 6%, equivalente a circa 703 milioni di paia. Di questa crescita solo il 20% è uscito dal Paese, mentre il restante 80% è andato a incrementare la domanda interna. Il gigante asiatico diventa quindi un mercato primario anche per le esportazioni del made in Italy calzaturiero, piazzandosi già al dodicesimo posto in valore come mercato di sbocco della nostra industria calzaturiera e al settimo se si considera l’aggregato Cina-Hong Kong.

«In questo nuovo contesto – continua Sagripanti – iniziano a esserci segnali di un ritorno della manifattura nel nostro Paese e i dati confermano che il fenomeno è già iniziato e che coinvolge il nostro settore. Il network universitario italiano Uni-CLUB MoRe ha evidenziato che l’Italia risulta al secondo posto per numero di imprese che hanno deciso di far rientrare la produzione nel paese di origine, dietro agli Stati Uniti e davanti alla Germania. Delle 194 riallocazioni produttive europee in tutti i settori analizzate nella ricerca il 41% è italiano, solo il 20% è tedesco. Tra tutte le riallocazioni internazionali considerate a livello mondiale (426) l’abbigliamento e le calzature rappresentano il 21% e sono il primo settore davanti all’elettronica (15%) e alla meccanica (13%)».

I distretti e la filiera, una peculiarità da supportare e favorire

Non siamo però di fronte a uno spostamento legato a vantaggi competitivi di breve periodo. «In realtà, – afferma Sagripanti – dicono i dati, sta cambiando il modo di pensare la supply chain. La fornitura snella con la riduzione delle scorte e del magazzino grazie al collegamento della produzione e approvvigionamento con la vendita non è più sufficiente. Il mercato è imprevedibile e variabile e la catena del valore lunga finisce con entrare in crisi. Diventa allora di nuovo utile una filiera, come quella italiana, capace di essere agile, in grado cioè di rendere industriale un prodotto artigianale, trasformare un prodotto unico in una serie vendibile a costi industriali. Ed è proprio grazie alla sua manifattura a rete, la manifattura dei distretti, e alla agilità che ne deriva, che la filiera italiana torna a essere ancora più competitiva. I numeri sottolineano ancora di più la necessità di valorizzare e tutelare l’eccellenza manifatturiera del calzaturiero italiano; l’etichettatura di origine obbligatoria per cui continuiamo a batterci è un modo per favorire la trasparenza verso il consumatore, ma anche la possibilità per l’impresa di utilizzare questo elemento come primo fattore del proprio story telling sul prodotto. Deve essere interpretato nel senso di un rafforzamento della filiera anche l’accordo per l’ingresso del comparto degli accessori per calzature in Assocalzaturifici che ha lo scopo di rafforzare la nostra strategia a sostegno del settore. Ma il nostro successo, la capacità di salire sul treno delle opportunità che ci passa accanto, – precisa il presidente – non sarà determinato solo dalle caratteristiche favorevoli della nostra filiera, del nostro sistema imprenditoriale, del nostro saper fare manifatturiero; occorre anche che la politica industriale italiana, al pari passo con quella europea, crei quel contesto effettivamente favorevole a questo ritorno. È necessario quindi lavorare su una politica monetaria più efficiente sul fronte dei cambi che non ci penalizzi e promuovere iniziative a sostegno delle PMI e dei distretti. Abbiamo inoltre necessità che si riconosca la nostra innovazione, che non è brevettabile ma si compie ogni sei mesi sul campionario, attraverso agevolazioni fiscali. Che si riduca la pressione fiscale per far ripartire i consumi nel nostro Paese e che si semplifichino la burocrazia e le norme che regolano il lavoro delle imprese. Possiamo ancora costruire un solido futuro per l’Italia. Bisogna solo fare presto e lavorare tutti nella stessa direzione, insieme».

di Maria Pia Longo

Tratto da Tecnica Calzaturiera, settembre 2014

E se il futuro fosse tutto nel “reshoring”? - Ultima modifica: 2014-10-01T16:10:51+02:00 da Redazione

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